
L’insufficienza respiratoria
L’insufficienza respiratoria è sempre un argomento difficile da trattare per la complessità dei meccanismi fisiopatologia del polmone e per la sua interazione con l’apparato cardio-vascolare, con quadri clinici spesso plurisistemici.
L’obiettivo di questo articolo è d’illustrare con linguaggio semplice, le basi fisiopatologiche dell’insufficienza respiratoria, nell’accezione più ampia dei termini, per trattare poi gli aspetti operativi dell‘Ossigeno-terapia e della Ventilazione meccanica, che rappresentano con la terapia farmacologica i cardini fondamentali dell’approccio terapeutico.

Insufficienza respiratoria cronica (IRC) è una condizione morbosa caratterizzata dalla persistente alterazione dei parametri emogasanalitici per l’incapacità di una o più strutture dell’apparato respiratorio a svolgere le normali funzioni d’assunzione d’ossigeno dall’ambiente esterno (donde la presenza di ipossiemia) e d’eliminazione dell’anidride carbonica prodotta dall’organismo (donde la presenza di ipercapnia).
La postura prona nei pazienti con grave insufficienza respiratoria
La postura prona all’interno delle unità di cure intensive viene utilizzata nel trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta, poiché permette nei pazienti responsivi di ottimizzare gli scambi gassosi.

L’infermiere è attore protagonista nel posizionamento del paziente e nell’assistenza complessa che tale postura implica. L’introduzione della tecnologia BIS™ che permette di oggettivare il livello di sedazione del paziente,diviene così nella nostra unità operativa strumento di supporto per la gestione del comfort e dell’adattamento della persona a postura e ventilazione. Dal 2004 sono stati posizionati in postura prona 55 pazienti affetti da insufficienza respiratoria acuta sia con tecnica manuale sia attraverso l’utilizzo di letti motorizzati.
Nell’ambito delle varie forme di insufficienza respiratoria cronica, è pratica corrente considerare due grandi categorie cliniche:
- l’Insufficienza respiratoria cronica ipossiemica, nella quale prevalgono le alterazioni polmonari
- l’ Insufficienza respiratoria cronica, nella quale prevalgono l’inefficienza dell’apparato toraco-polmonare ed i fenomeni d’ipoventilazione, con le gravi alterazioni legate allo squilibrio bioumorale da ritenzione cronica di CO2 e conseguente acidosi respiratoria.
Tale distinzione può essere utile per l’impostazione della terapia, poiché nel primo caso (insufficienza respiratoria cronica ipossiemica) si tenderà soprattutto a correggere il difetto d’ossigenazione, mentre nel secondo (insufficenza respiratoria cronica ipercapnica) l’orientamento principale sarà rivolto al supporto attivo delle strutture ventilatorie, così da migliorare l’efficienza dello scambio gassoso.
La strategia terapeutica dell’Insufficienza respiratoria cronica si fonda sui seguenti presupposti:
1) terapia patogenetica in rapporto ai differenti substrati fisiopatologici;
2) terapia sostitutiva, basata sulla somministrazione continuativa d’ossigeno, allo scopo di aumentarne la frazione endoalveolare e, di conseguenza, il contenuto nel sangue arterioso;
3) prevenzione degli episodi di riacutizzazione dell’insufficienza respiratoria cronica;
4) trattamento dello squilibrio bioumorale associato alla condizione d’insufficienza respiratoria cronica;
5) trattamento delle complicanze cardiocircolatorie determinate dallo stato d’nsufficienza respiratoria cronica ed, in particolare, dall’ipertensione del circolo polmonare.

Terapia patogenetica dell’IRC
È rappresentata da una serie di presidi farmacologici rivolti al miglioramento dei disturbi caratteristici del paziente con IRC, come la dispnea, il broncospasmo, l’ipersecrezione e la tosse. Questa forma di terapia può essere definita di tipo patogenetico, poiché interviene su vari substrati fisiopatologici dell’IRC, come, ad esempio, lo squilibrio ventilo-perfusivo determinato dalla cronica broncostruzione (mediante i broncodilatatori, gli antibiotici ecc.) oppure il danno della diffusione alveolo-capillare (ad esempio con gli antiinfiammatori). Tra i farmaci più frequentemente utilizzati per trattamenti regolari a lungo termine vanno segnalati:
BRONCODILATATORI
Appartengono a questa categoria i simpaticomimetici b2-stimolanti, i teofillinici, i derivati anticolinergici .
I simpaticomimetici b2-stimolanti comprendono numerosi composti con notevole attività broncodilatatrice (salbutamolo, clenbuterolo, fenoterolo, procaterolo), legata alla stimolazione dei recettori b del muscolo liscio bronchiale, con conseguente attivazione dell’adenilciclasi cellulare ed aumento dell’AMPc.
Oltre all’effetto broncospasmolitico, questi farmaci presentano proprietà antireattive, migliorando lo stato di flogosi della parete bronchiale, aumentando l’idratazione del tappeto mucoso e stimolando il battito ciliare; inoltre, nel paziente IRC, per trattamenti protratti, sono dimostrabili effetti favorevoli anche sull’emodinamica cardiopolmonare.
I b2-stimolanti presentano l’importante prerogativa di poter essere somministrati per via inalatoria in forma di aerosol (mediante spray pressurizzati predosati, nebulizzatori tradizionali ad aria compressa, apparecchi di nebulizzazione ultrasonica di particelle a deposizione preferenziale nelle vie aeree periferiche) .
Tale modalità di somministrazione è più sicura ed efficace rispetto ad altre vie di assunzione, come quella orale o iniettiva, sia per la rapidità con la quale viene raggiunto l’effetto broncodilatatore (entro pochi minuti), sia per la selettività dell’azione terapeutica a livello delle strutture broncopolmonari, che tende a ridurre l’insorgenza di effetti collaterali da stimolazione recettoriale di altri organi.
Le principali limitazioni all’impiego di simpaticomimetici sono legate a possibili fenomeni di sovradosaggio, talvolta determinati dallo stesso paziente (abuso dello spray broncodilatatore), con la comparsa di disturbi a carico dell’apparato cardiovascolare e muscolare (aritmie, tremori), facilmente controllabili non superando le 4-6 somministrazioni, distanziate nell’arco delle 24 ore .
Recentemente è stata utilizzata una formulazione di salbutamolo per via orale che, grazie alla sua composizione, permette un lento rilascio del farmaco a livello intestinale.

Il trattamento protratto con b2-stimolanti può indurre tachifilassi con un’attenuazione della risposta terapeutica.
In rapporto alla durata dei loro effetti broncodilatatori, i b2-agonisti possono suddividersi in composti a breve (1-2 ore), intermedia (6-8 ore) e lunga (> 12 ore) durata d’azione. I b2-agonisti a breve durata d’azione (isoprenalina) non sono più utilizzati, anche per la scarsa b2-selettività; quelli ad intermedia durata d’azione raggruppano preparati eterogenei dal punto di vista farmacologico (resorcinolici, saligenici); di questi, il salbutamolo, il fenoterolo, il clenbuterolo e il procaterolo sono quelli più utilizzati.

I b2-stimolanti a lunga durata d’azione sono stati introdotti più recentemente allo scopo di ottenere un controllo più soddisfacente della broncostruzione nelle ore notturne, conservando una rapidità di effetto; il salmeterolo e il formoterolo appartengono a questo gruppo.
L’utilizzazione dei b2-stimolanti nel trattamento dei pazienti con insufficienza respiratoria cronica non è codificata; tuttavia nell’indicazione vanno tenuti presenti i seguenti fattori:
- a) La via inalatoria è la più razionale, sia per la rapidità di effetto, sia per il dosaggio utilizzabile. Attualmente vi è anche l’orientamento a sostituire i nebulizzatori spray con gli autoinalatori dall’inspirazione del paziente (Turbohaler e Diskus). Tuttavia, l’utilizzo di nebulizzatori ad aria compressa, di volumi di soluzione tra i 3 e i 5 ml, consente una somministrazione più idonea in questa categoria di pazienti
autoinalatori - b) Il dosaggio di tali farmaci varia a seconda della fase clinica. Negli episodi di riacutizzazione, caratterizzati da un marcato peggioramento dell’ostruzione, le dosi vengono aumentate nella quantità e nella frequenza di somministrazione rispetto alla terapia di mantenimento che, per i preparati a lunga durata d’azione, può consistere in una somministrazione bi-quotidiana.
- c) Gli effetti sulla storia naturale di malattia non sono ben conosciuti, soprattutto nei pazienti con malattia polmonare cronica ostruttiva. I vantaggi di un’indicazione a preparati a lunga durata d’azione devono essere, pertanto, sempre verificati.
- d) Gli effetti collaterali dei b2-stimolanti sono significativi e sinergici con quelli di altri farmaci di uso corrente nell’insufficienza respiratoria cronica, come, ad esempio, i teofillinici (tachicardia, tremori, aritmie).
I teofillinici comprendono la teofillina, una xantina metilata, e altri composti , ottenuti per sostituzione della molecola purinica originaria (difillina, emprofillina, bamifillina) per aumentare l’efficacia terapeutica, riducendo gli effetti collaterali.
La broncodilatazione indotta dal farmaco è legata ad un effetto miorilassante diretto sulla muscolatura liscia bronchiale, in parte dipendente dall’inibizione di sistemi enzimatici di degradazione dell’AMPc (fosfodiesterasi), in parte ad una capacità Ca-antagonista del farmaco.
A quest’ultima proprietà sono probabilmente da ascrivere altri importanti effetti terapeutici, come la vasodilatazione polmonare, il miglioramento della contrattilità diaframmatica, l’aumento della clearance muco-ciliare e una riduzione dello stato di flogosi bronchiale.
Sono stati proposti meccanismi alternativi, quali il blocco dei recettori per l’adenosina e di antagonismo sull’azione di alcune prostaglandine a livello della muscolatura liscia vascolare.
È da rilevare inoltre che i teofillinici stimolano l’increzione di catecolamine dalla midollare del surrene.

Le principali limitazioni all’impiego della teofillina sono legate al suo ristretto range terapeutico, perciò soltanto a concentrazioni seriche del farmaco tra 8 e 15 ng/ml si verifica un effetto terapeutico, mentre per livelli superiori è assai frequente la comparsa di effetti collaterali anche gravi (aritmie cardiache, convulsioni).
È inoltre da sottolineare che la farmacocinetica della teofillina è condizionata da numerosi fattori (assorbimento intestinale irregolare, notevoli variazioni del metabolismo della sostanza in presenza di tabagismo, obesità, epatopatia cronica ecc.), che ne rendono spesso imprevedibile il comportamento dei livelli ematici.
Per tali ragioni, attualmente, il trattamento con teofillina in pazienti con l’insufficienza respiratoria cronica è condotto utilizzando preparati ritardo somministrati per via orale, che consentono, per la loro formulazione, una cessione del farmaco controllata nel tempo, così da permetterne il mantenimento di concentrazioni efficaci con una somministrazione bi- o anche mono-quotidiana.
Nella pratica clinica è opportuno impostare la terapia teofillinica iniziando con una fase d’attacco, nella quale il farmaco è utilizzato per via endovenosa, a dosi regolate sul peso corporeo (6 mg/kg, in media 350-450 mg), dapprima in bolo, soprattutto in presenza di un episodio recente di riacutizzazione, e successivamente, in fase di mantenimento, per via infusiva, con dosi fino a 350 mg/6 h. Al conseguimento di una soddisfacente condizione di stabilità del quadro clinico, si potrà passare alla somministrazione orale di uno dei vari preparati disponibili, ricordando di regolare sempre la posologia sul peso corporeo ideale del paziente, a causa dell’irrilevante distribuzione della teofillina nel tessuto adiposo.
Il dosaggio orale del farmaco sarà ancora modificato con variazioni del 50%, in più o in meno, rispetto alla dose iniziale, in rapporto a fattori che possono alterare a livello individuale la clearance del farmaco (tabagismo, insufficienza cardiaca o epatica) .
È altresì da ricordare, soprattutto per quanto concerne l’impiego della teofillina per via endovenosa in pazienti con insufficienza respiratoria cronica già in trattamento con il farmaco, che la somministrazione di una dose di 0.5 mg/kg e di 2.5 mg/kg, determina un aumento della teofillina serica, che è rispettivamente di 1 e di 5 ng/ml.
Tra le varie xantine metilate di sintesi vanno segnalate l’emprofillina (non ancora in commercio in Italia), che presenta una maggiore efficacia broncodilatatrice, senza dimostrare, come la teofillina, un antagonismo recettoriale con l’adenosina, un nucleotide purinico che è liberato in condizioni d’ipossia ed alla cui inibizione recettoriale sono attribuiti gran parte degli effetti collaterali che si registrano in corso di terapia teofillinica a livello dell’apparato muscolare e del sistema nervoso centrale; la bamifillina dimostra una potenza superiore alla teofillina, con una minore incidenza di effetti collaterali; la doxofillina è caratterizzata da una lunga emivita plasmatica, che ne permette una buona azione broncodilatatrice, entro sufficienti range terapeutici.
Da un punto di vista generale, tuttavia, occorre sottolineare che i composti di sintesi hanno un’indicazione limitata in particolari categorie di pazienti, come soggetti anziani, a rischio per tossicità da teofillina anche a dosi relativamente basse. Negli altri casi, invece, la scelta terapeutica nel paziente con IRC si orienta generalmente verso le preparazioni di teofillina-ritardo con le quali è possibile, anche con una sola somministrazione, mantenere livelli pienamente terapeutici del farmaco, ottenendo un controllo costante della sintomatologia, che in questo tipo di pazienti è di fondamentale importanza.
Gli anticolinergici, derivati dell’atropina, presentano un effetto broncodilatatore meno intenso di quello ottenibile con i simpaticomimetici, ma con una maggiore durata nel tempo; tali composti, inoltre, dimostrano un’attività vagolitica anche sulle vie aeree di piccolo calibro e pertanto si prestano particolarmente al trattamento dei pazienti con IRC secondaria e broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Vengono utilizzati esclusivamente per via inalatoria, da soli (ipratropium bromuro, oxitropium bromuro) o, più frequentemente, in preparati di associazione con b2-stimolanti, con i quali dimostrano un significativo sinergismo (salbutamolo-ipratropium bromuro, fenoterolo-ipratropium bromuro).
FARMACI MUCOATTIVI
Sono rappresentati da un’ampia categoria di preparati, la cui efficacia sul miglioramento dell’ipersecrezione bronchiale è documentata soprattutto da osservazioni sperimentali; in campo clinico è tuttavia difficile accertare una reale efficacia di tali composti, che vengono sempre utilizzati in associazione ad altri farmaci in grado di modificare le secrezioni bronchiali (b2-stimolanti, cortisonici ecc.) e per limitati periodi di tempo.

Sono tuttavia da segnalare per talune prerogative d’azione: l’acetilcisteina, una sostanza che, oltre all’effetto mucolitico diretto, dimostra un’attività antiossidante legata ai gruppi SH della molecola, utile in presenza di danno polmonare cronico.
La bromexina e il sobrerolo sono farmaci che determinano un miglioramento del trasporto di acqua nella mucosa bronchiale, facilitando l’idratazione del muco; l’ambroxol è un mucoattivo che induce anche un miglioramento dei processi di sintesi del surfactant endoalveolare; la carbocisteina è una sostanza che, pur non presentando un effetto mucolitico diretto, può intervenire a livello della sintesi delle mucine, migliorando le caratteristiche biochimiche della secrezione bronchiale e quindi le sue proprietà di viscoelasticità.
È consigliabile evitare l’uso di questi farmaci per via aerosolica, per la frequente presenza di iperreattività bronchiale nei pazienti con BPCO.
CORTICOSTEROIDI
Costituiscono un presidio terapeutico fondamentale nel paziente con insufficienza respiratoria cronica.
La loro attività antiinfiammatoria, legata all’inibizione della liberazione di mediatori della flogosi e del broncospasmo, determina un effetto favorevole sulla ventilazione (aumento della pervietà bronchiale e bronchiolare), sulla perfusione (riduzione dei fenomeni essudativi del microcircolo bronchiale) e sulla diffusione alveolo-capillare (diminuzione della flogosi interstiziale ed alveolare) .

In tal senso i corticosteroidi vengono impiegati con differenti modalità nel paziente con IRC: con finalità etiologica diretta a lungo termine e a dosaggi sostenuti (0.5-1 mg/kg di prednisone in terapia di attacco per 4-6 settimane, poi 0.25 mg/kg di mantenimento), in quelle affezioni a carattere evolutivo sostenute in prevalenza da alterazioni parenchimali progressive (come le fibrosi interstiziali diffuse); come trattamento sintomatico negli episodi di riacutizzazione che caratterizzano l’evoluzione dell’IRC secondaria a broncopneumopatia cronica. In questi casi vengono utilizzati dosaggi elevati per via infusiva, ricorrendo, in base all’esigenza, a preparati ad azione rapida (idrocortisone 100-200 mg), oppure con effetto antiinfiammatorio particolarmente marcato (betametasone 4-6 mg), per periodi limitati nel tempo; come terapia di mantenimento è attualmente molto vantaggioso l’impiego di steroidi per via inalatoria (beclometasone, flunisonide), che consentono una somministrazione protratta, minimizzando gli effetti collaterali, grazie all’assorbimento quasi esclusivo a livello del territorio bronco-polmonare.
Recentemente sono stati introdotti alcuni glucocorticoidi per via inalatoria a bassissima biodisponibilità sistemica (fluticasone) ed a potente attività antiinfiammatoria (budesonide). Alcuni dati preliminari indicherebbero un effetto favorevole a medio termine (6 mesi) nella prevenzione delle riacutizzazioni della BPCO.
Discusso invece è il ruolo di cicli di terapia orale con preparati corticosteroidi, sebbene sia stata dimostrata una loro efficacia nel miglioramento della condizione funzionale dei pazienti scarsamente responsivi ai tradizionali broncodilatatori; tuttavia, alcuni Autori segnalano in corso di trattamento una maggiore incidenza di infezioni gravi da Gram negativi, oltre agli altri ben noti effetti collaterali da terapia protratta (osteoporosi invalidante, ipotrofia muscolare, emorragie gastrointestinali ecc.).
Particolarmente sviluppato è attualmente l’uso di associazioni per via inalatoria (aerosol e spray) di corticosteroidi (beclometasone) con b2-stimolanti e vagolitici.
Va segnalato che, con analoghe indicazioni, altre categorie di farmaci antiinfiammatori sono state recentemente impiegate, come i bloccanti dei recettori per i leucotrieni (antileucotrieni). Il blocco selettivo degli effetti dei leucotrieni, non intercettabili dall’uso di corticosteroidi, potrebbe migliorare il controllo dei fenomeni di edema delle vie aeree e di rimodellamento delle vie aeree, caratteristico soprattutto delle forme di asma cronico.
ANALETTICI RESPIRATORI E NUOVI ORIENTAMENTI SUL TRATTAMENTO DELLA DISPNEA DELL’IRC
Sono stati tra i primi farmaci utilizzati nel trattamento dell’IR acuta e cronica (canfora, stricnina), ma attualmente, anche per i preparati di più recente introduzione, il loro utilizzo è assai limitato dal basso indice terapeutico; tali farmaci, infatti, determinano generalmente una stimolazione non solo dei centri respiratori, ma anche delle strutture neurogene preposte alla regolazione dell’attività cardiovascolare, con possibili ripercussioni negative dal punto di vista emodinamico; inoltre, si verifica anche una stimolazione muscolare, che comporta un aumento del consumo di O2; infine, il razionale all’uso di tali farmaci (stimolazione dei centri della ventilazione) raramente li rende applicabili in pazienti con patologia respiratoria cronica, nei quali è già generalmente presente un’iperventilazione compensatoria, che è altresì responsabile di un eccessivo lavoro respiratorio e della conseguente dispnea.
Pertanto, l’indicazione principale di questi farmaci è rappresentata dalle condizioni di IRC ipercapnica, nelle quali è presente una significativa riduzione dello stato di coscienza, con un rallentamento delle normali attività delle strutture bronchiali (depressione della tosse e dell’espettorazione).

Tra i composti più utilizzati vanno ricordati: l’acetazolamide, un inibitore dell’anidrasi carbonica, il cui effetto principale è quello di inibire il riassorbimento renale di bicarbonati, determinando iperventilazione secondaria ad acidosi metabolica; accanto a questo effetto, il farmaco presenta un’azione diretta sui centri respiratori, che si traduce in un aumento della risposta ventilatoria all’ipercapnia;

L’almitrine, uno stimolante del glomo carotideo, che induce soprattutto un aumento dell’iperventilazione all’ipossia, ma determina, nel contempo, un potenziamento della vasocostrizione polmonare ipossica;


il doxapram, che è un analettico dotato di elevata selettività sul glomo carotideo e che è stato impiegato, con risultati favorevoli, nella prevenzione degli episodi di apnea notturna, molto comuni nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica e obesità o BPCO.
Altre sostanze con proprietà analettiche, di rara applicazione nel trattamento della IRC ipercapnica, sono gli antidepressivi triciclici (protriptilina), gli antagonisti degli oppiacei (naloxone), il medrossiprogesterone acetato; le maggiori indicazioni all’uso di tali composti sono le forme di grave IRC ipercapnica da depressione cronica dei centri del respiro o da ipoventilazione alveolare idiopatica, con frequenti episodi di apnea durante il sonno o lo stato di veglia. Recentemente, l’approccio terapeutico al sintomo dispnea nel paziente con IRC è stato approfondito sulla base delle nuove conoscenze patogenetiche. In effetti, attualmente, la dispnea in corso di IRC è considerata in parte il risultato della dissociazione tra un eccesso di impulsi afferenti ai centri nervosi ed il deficit della risposta efferente dei muscoli respiratori; a ciò si aggiungono meccanismi di integrazione a livello centrale, con modificazioni dell’intensità e della qualità della percezione del sintomo. Ancora, è stata documentata una significativa correlazione tra alterazioni nell’attivazione di recettori dei muscoli periferici scheletrici da parte di metaboliti in corso di ipossia e la dispnea precoce durante esercizio, che caratterizza il paziente con IRC. Sulla base di queste osservazioni possiamo classificare gli interventi terapeutici per la dispnea, a seconda dei meccanismi patogenetici prevalenti, in:
1) riduzione delle richieste ventilatorie, mediante una diminuzione della risposta ventilatoria all’ipossiemia ed ipercapnia a livello periferico (O2-terapia, training muscolare) o centrale (anche con depressori del drive ventilatorio, come gli ansiolitici o gli oppiacei), quando non sussistono controindicazioni;
2) riduzione dei carichi alla ventilazione, sia di tipo resistivo (broncostruzione), sia di tipo elastico (iperdistensione alveolare), che rendono il lavoro respiratorio eccessivo. Questo obiettivo viene generalmente ottenuto con l’impiego dei broncodilatatori e dei corticosteroidi. Peraltro va segnalato il crescente impiego in ambito domiciliare di ventilatori meccanici non invasivi a pressione positiva continua applicata alle vie aeree (CPAP con maschera nasale), che hanno dimostrato una significativa efficacia sia nel trattamento della dispnea dei pazienti BPCO in fase di riacutizzazione, che nella fase di mantenimento, riducendo la fatica muscolare inspiratoria ed il lavoro respiratorio complessivo;
3) miglioramento della funzione muscolare respiratoria e della percezione del sintomo. Tale obiettivo viene raggiunto, generalmente, con interventi non farmacologici, basati su programmi di training e di rieducazione all’esercizio fisico, oltre che sull’attento monitoraggio dei possibili effetti collaterali della terapia farmacologica (corticosteroidi) sull’attività muscolare e dello stato di nutrizione.
ANTIBIOTICI E CHEMIOTERAPICI
Vengono utilizzati frequentemente nel trattamento del paziente con insufficienza respiratoria cronica, sia nella fase di riacutizzazione della malattia, generalmente determinata da processi di natura infettiva, sia in condizioni stabili, in categorie di affezioni (broncopneumopatie croniche, patologie neuromuscolari), nelle quali il rischio di infezione è assai elevato, a causa del danno broncopolmonare e dell’insufficienza dei meccanismi di difesa dell’apparato respiratorio.
Affinché la condotta terapeutica sortisca gli effetti più favorevoli, la scelta del farmaco deve essere guidata da criteri di ordine microbiologico e clinico epidemiologico ; nella maggior parte dei casi le riacutizzazioni infettive del paziente con insufficienza respiratoria cronica, in assenza di lesioni a focolaio radiograficamente evidenti, sono causate da virus o da batteri, dotati di un particolare tropismo respiratorio, come l’Haemophilus influenzae, la Branhamella catarrhalis, germi che tendono a rivirulentarsi in condizioni favorevoli, quali il ristagno di secrezioni o la flogosi bronchiale.

D’altra parte, il danno epiteliale da infezione virale può associarsi, nel paziente con problemi respiratori, ad un elevato rischio di superinfezioni da germi più aggressivi (pneumococco, stafilococco coagulasi positivo). In questi casi sarà quindi opportuno l’impiego di antibiotici mirati, come i composti di associazione tra una penicillina semisintetica ed un inibitore delle b-lattamasi (amoxicillina + ac.clavulanico) oppure nuovi preparati macrolidi (roxitromicina, claritromicina) o ancora, in presenza di infezione stafilococcica, la teicoplanina, una sostanza a selettiva attività verso i Gram positivi.

È peraltro da rilevare che, in altre situazioni ed in particolare nei pazienti in IRC avanzata, gli agenti responsabili dei processi di riacutizzazione appartengono alla categoria dei Gram negativi (Pseudomonas, Klebsiella, Escherichia coli), spesso di difficile trattamento per i fenomeni di resistenza che tali germi esibiscono di fronte a numerosi antibiotici.

In questi casi, che si caratterizzano generalmente per una positività del quadro radiografico o per un persistente riscontro batteriologico nelle secrezioni bronchiali, si rende indispensabile l’utilizzo di cefalosporine di II e III generazione (cefotaxime, ceftazidime) o aminoglucosidi (amikacina, gentamicina, netilmicina), effettuando un controllo periodico degli indici di funzionalità renale, dal momento che in questi pazienti essi possono già risultare compromessi per lo stato di cronica ipossia e di acidosi.
I chinolonici (ofloxacina, ciprofloxacina, levofloxacina) sono una categoria di chemioterapici di recente introduzione che presentano la prerogativa di uno spettro ampio nei confronti soprattutto dei Gram negativi ed una buona diffusibilità nelle secrezioni bronchiali, dopo somministrazione orale.
Terapia sostitutiva dell’Insufficienza respiratoria cronica. Ossigenoterapia a lungo termine
Per ossigenoterapia a lungo termine (OLT) si intende la somministrazione continuativa, per la maggior parte delle ore giornaliere, di ossigeno, allo scopo di aumentare la pressione alveolare di O2, in modo da ottenere valori di saturazione ossiemoglobinici vicini alla norma (> 90%).
Lo scopo dell’ ossigenoterapia a lungo termine
Lo scopo dell’ ossigenoterapia a lungo termine è quindi quello di intervenire sul danno tessutale da ipossia, cercando di prevenire le alterazioni fisiopatologiche indotte dalla condizione di cronica ipossia. Negli anni ’70 alcune indagini longitudinali hanno dimostrato alcuni fondamentali vantaggi dell’ ossigenoterapia a lungo termine:
1) miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con IRC secondaria a BPCO ;
2) miglioramento della qualità della vita del paziente con IRC;
3) riduzione dell’incidenza di poliglobulia;
4) arresto della progressione dell’ipertensione polmonare e miglioramento dei parametri emodinamici cardiopolmonari;
5) miglioramento della qualità del sonno e prevenzione degli episodi di desaturazione ossiemoglobinica in corso di apnee notturne;
6) riduzione del numero dei ricoveri ospedalieri e della durata della degenza per insufficienza respiratoria cronica.
Nei pazienti con BPCO, l’OLT viene spesso prescritta in rapporto ai valori di paO2, ematocrito, segni clinici di ipertensione polmonare, comportamento della saturazione ossiemoglobinica a riposo, sotto sforzo e durante le ore notturne, così da configurare alcune categorie nelle quali è razionale l’impiego della modalità di trattamento domiciliare di tipo continuativo, cioè almeno per 15 ore al giorno .
Altre volte l’indicazione all’OLT viene formulata tenendo conto del complessivo stato clinico-funzionale del paziente e della sua aspettativa di sopravvivenza.
Generalmente l’OLT viene programmata dal medico in modo da assicurare valori di paO2 di almeno 65 mmHg o di saturazione ossiemoglobinica >90%. È inoltre da osservare che, contrariamente a quanto ritenuto in passato, la normalizzazione della paO2 non si associa, generalmente, a depressione della ventilazione nei pazienti con BPCO e quindi ad un rischio elevato di ipercapnia; le modificazioni della CO2sono, infatti, da attribuire soprattutto a variazioni del rapporto ventilazione-perfusione, a causa della riduzione dei fenomeni di vasicostrizione polmonare ipossica e solo in una percentuale di pazienti che presentano già valori di ipercapnia >70 mmHg, ed in genere sono tollerati, in corso di OLT, incrementi di 15 mmHg di CO2, senza significative ripercussioni cliniche.
Per quanto concerne le modalità pratiche di somministrazione dell’O2, attualmente i sistemi di erogazione preferiti sono rappresentati da contenitori di O2 liquido (liberator) che stivano in un piccolo volume elevati quantitativi disponibili per un trattamento di molte ore al giorno, per almeno 2-3 settimane. Inoltre, tale modalità di somministrazione consente il rifornimento di apparecchi portatili di O2 liquido di peso ridotto (stroller), che permettono al paziente una maggiore autonomia, con notevoli vantaggi di ordine psico-fisico. L’assunzione di O2 avviene per mezzo di cannule nasali che erogano ossigeno puro che si diluisce insieme all’aria ambiente all’interno della cavità delle vie aeree superiori, costituendo una specie di riserva o serbatoio che permette l’arrivo agli alveoli di una miscela gassosa con un aumento netto della frazione percentuale di O2 nell’aria inspirata. Tale percentuale può essere approssimativamente stimata, in base al flusso di O2 in litri al minuto, dalla formula:
FiO2% = 20.9 + (4 x lt/min).
Su di un principio diverso si basano le maschere facciali di Venturi, che erogano flussi elevati di O2, generalmente superiori ai 4-6 lt/min, che, mescolandosi con l’aria ambiente, ne arricchiscono la concentrazione di O2, consentendo l’inalazione di una FiO2 costante e predeterminata, indipendente dalle caratteristiche di respirazione del paziente. Mentre le cannule nasali risultano particolarmente idonee per l’ossigenoterapia a lungo termine, le maschere trovano prevalente indicazione nell’ossigenoterapia in corso di riacutizzazione dell’IRC.