Utero in affitto: perché una donna dovrebbe affittare il proprio utero?
Perché una donna dovrebbe affittare il proprio utero, per fare concepire un figlio che non rivedrà mai più? Perché le donne ricche non lo fanno?
Tutte domande che potrebbero trovare una risposta del genere: “Se fosse per altruismo lo farebbero anche lo donne ricche, invece è solo questione di soldi.”
Ma la realtà è piena di sfaccettature, e spesso bisogna mettersi nei panni degli altri per capire le problematiche che portano a fare le scelte.
Ci sono casi diversi per esempio quando la questione rimane in famiglia. Per esempio la sorella che si presta, per altruismo per la sorella che ha problemi di fertilità.
In questo caso altruismo è la vera motivazione.
Ma qui la questione vera non è del singolo, ma è diventata una questione di regolamentazione.
Perché una legge tutela più del divieto. E un divieto non protegge, rischia di portare all’abuso, all’illegalità e a situazioni come quella di maggio 2020, quando 46 neonati tramite gravidanza per altri sono rimasti bloccati in un albergo con le tate in Ucraina in piena pandemia. Le famiglie che avevano fatto ricorso a questa tecnica – tra cui alcune coppie italiane
Quando l’utero in affitto si trasforma in un business
Ma non sempre le cose vanno cosi bene, perché negli anni è nato un vero business che tende ad sfruttare donne in condizioni economiche di negligenza a cui viene chiesto loro di affrontare una gravidanza per conto di un’altra coppia. Come il caso delle donne ucraine che si prestano a questa pratica, ma potremmo parlare delle indiane e africane.
Una cosa che accomuna queste donne è il fatto che hanno bisogno di soldi, questo le rende vulnerabili e più predisposte ad accettare proposte che in altri contesti e condizioni non avrebbero preso in considerazione.
Utero in affitto: i contratti rispettano i diritti di tutti ?
Se si pensa però a come è strutturato il contratto dell’utero in affitto, viene subito in risalto un aspetto che la legge italiana tutela. Per contratto il nascituro non può conoscere la donna che gli ha dato la vita. Ok magari non è la stessa con cui coincide il suo patrimonio genetico, ma comunque è sempre un pezzo della sua storia, nel caso un giorno per qualsiasi motivo cercasse di ricostruirla.
Il bambino che nascerà, dovrà rinunciare al suo diritto sacrosanto di conoscere le sue origini. Perfino al figlio adottato gli viene riconosciuto il diritto di conoscere le proprie origini dopo i 25 anni, perché chi nasce con la maternità surrogata, non può conoscere chi la tenuto in grembo per 9 mesi?
La delicata situazione della donna surrogata
In alcune realtà la donna che si presta per questo servizio alla coppia, viene considerata solo come un mezzo, quasi a non riconoscere l’importanza di questo atto.
Ma la realtà e ben diversa, la donna non può essere considerata un’incubatrice vivente. La donna con il feto comunicano. Da un po’ si conosce la potenzialità interattiva del figlio con la madre prima della nascita, si sa come il Dna viene influenzato dalle esperienze prenatali, e si sa della sensorialità fetale.
Nel numero di aprile 2018 la rivista scientifica tedesca Utraschall in der Medizinspiegava riporta che «il feto elabora gli stimoli sensoriali a livello corticale, inclusi quelli dolorosi, dalle 25 settimane di gestazione. A 34 settimane il feto non solo percepisce suoni complessi ma discrimina tra suoni diversi. Comportamenti motori finalizzati sono presenti a 22 settimane e progrediscono nel tempo. Le capacità del feto di imparare sono prodigiose».
Il feto può imparare anche nella pancia, impara dalla donna che lo tiene in grembo. In questa fase di vita il feto sente i sentimenti di chi lo porta in grembo, se lei e nervosa il feto lo sente. Il feto si trova all’interno della donna che lo ospita è tra i due si crea un legame speciale. Che nel caso dell’utero in affitto una volta che il bambino nasce, questo legame lo dovrà ricreare con la sua futura mamma.
Ma c’è di più: la rivista Infant Behavior and Developmentha ha misurato come reagisce un feto nel secondo e terzo trimestre alle sollecitazioni tattili attraverso l’addome materno, mostrando addirittura che se è la madre a toccare l’addome il feto si comporta differentemente. Ciò vale, come è stato riportato su PlosOne nel giugno 2017, anche per la voce materna, cui il feto risponde sempre più attivamente man mano che la gravidanza progredisce. In questi quarant’anni abbiamo appreso che l’utero non è una cassaforte ma un mezzo di scambio altamente protettivo, che fa filtrare stimoli di vario tipo: addirittura i gusti alimentari si formano prima della nascita per via delle sostanze che la mamma mangia e che, filtrate dalla placenta, arrivano al feto, come ha mostrato la texana Julie Mennella.
Una delle più importanti riviste mediche pediatriche, Early Human Development ha per sottotitolo «Rivista che tratta della continuità dalla vita fetale a quella neonatale», e l’altra grande rivista Archives of Disease in Childhood ha una sezione intitolata «Fetal and Neonatal Edition».
La donna e le fasi dell’utero in affitto
Alcune coppie hanno bisogno di una donatrice di ovuli.
L’ovodonazione (o donazione di ovociti) è un processo in cui un individuo di sesso femminile dona spontaneamente parte dei propri ovuli, affinché possano essere utilizzati con la fecondazione eterologa da una coppia con problemi di fertilità.
In Italia, il ricorso a tale tecnica è legittimo (come indicato dalla sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale) nell’ambito di un percorso di trattamento, nei casi in cui sia accertata la sterilità o l’infertilità assoluta di almeno uno dei due genitori e non vi siano altri metodi terapeutici efficaci a risolvere tale condizione. Tuttavia, la fecondazione eterologa è consentita solo per le coppie di sesso diverso, sposate o conviventi in modo stabile. Non potranno ricorrere, quindi, alla donazione né soggetti single, né coppie dello stesso sesso.
La riproduzione assistita con donazione di ovociti, denominata ovodonazione, è una tecnica di riproduzione assistita mediante la quale una donna (la donatrice) dona gli ovociti ad un’altra donna (la ricevente). La fecondazione di questi ovociti con gli spermatozoi del partner darà come risultato gli embrioni che saranno in seguito trasferiti alla ricevente o congelati, qualora se ne avessero in esubero. Questa tecnica si è rivelata molto efficace e permette a numerose coppie con scarse probabilità di assicurarsi una discendenza, di vedere invece realizzato il loro desiderio di creare una famiglia .
Una ragazza prima di iniziare il trattamento per la donazione di ovuli, dovrebbe sapere che il processo ha una serie di possibili rischi associati ad esso ed essere consapevoli delle conseguenze che può avere.
Da un lato, troviamo i problemi derivanti dal farmaco necessario per ottenere gli ovuli: la stimolazione ovarica. Può causare gonfiore e dolore addominale, stanchezza, allergie, sbalzi d’umore… Nei casi più gravi, può verificarsi la sindrome da iperstimolazione ovarica, ma è rara.
D’altra parte, anche la puntura ovarica, l’intervento per ottenere gli ovuli, comporta una serie di rischi, come ogni processo chirurgico in cui si somministra l’anestesia. Può anche causare infezioni ed emorragie.
Una ragazza che dona gli ovuli, anche se raramente, potrebbe andare incontro a iperstimolazione ovarica per indurre il suo corpo a produrre più ovociti. È un trattamento con numerose controindicazioni sanitarie.
Dopo la iperstimolazione ovarica circa il 10% delle donne soffre di complicazioni immediate, soprattutto della “sindrome da iperstimolazione” e più del 10% sono divenute sterili. Le emorragie interne e il sovradimensionamento delle ovaie hanno portato anche alla morte.
Per questo motivo non dovrebbe essere una scelta presa alla leggera.
La cessione di ovuli comporta un procedimento invasivo, iniezioni di ormoni, un intervento chirurgico per il prelievo con effetti collaterali frequenti e gravi. La sindrome da iperstimolazione ovarica può condurre persino alla morte
Infatti “l’ovaio cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l’iperstimolazione è grave, si forma un’ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talchè esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati“. A ciò si può aggiungere che l’iperstimolazione in vista della PMA comporta anche un rischio tumore, ai genitali o alle mammelle, magari nel lungo periodo (“Le Scienze“, Settembre 2004).
Poi gli ovociti vengono fecondati con lo sperma fornito dagli acquirenti. Gli embrioni così prodotti vengono selezionati. I più vitali vengono impiantati, gli altri vengono messi via. Può essere anche praticato un aborto selettivo post-impianto. Impiantati dove mi chiederete?
Nel corpo di un’altra donna, che può essere una qualunque visto che non chiedono chissà quali caratteristiche. Bella o meno, intelligente o no, poco importa. Deve solo metterci l’utero.
Ovviamente, siccome quel bambino non ha patrimonio genetico comune con la gestante, si potrebbe scatenare nel corpo della madre surrogata una violenta reazione immunitaria che deve essere soppressa con pesanti farmaci anti-rigetto di tipo chemioterapico.
Ulteriori rischi del utero in affitto per la donna surrogata
- Ci sono stati casi di morte di madri surrogate sia negli Stati Uniti che altrove.
- A causa dei costi elevati della surrogazione e del forte desiderio di alzare gli indici di successo, spesso vengono trasferiti più embrioni nella madre surrogata. Oltre all’aumentato rischio di parti cesarei e prolungamento della degenza in ospedale, il British Journal of Medicine avverte: “Gravidanze multiple sono associate a complicazioni materne e perinatali, come diabete gestazionale, riduzione della crescita del feto, pre-eclampsia e morte prematura.”
- Diversi studi hanno riscontrato, per le gravidanze surrogate, “aumenti in parti multipli, ammissioni in unità di cura neonatale intensiva (Neonatal Intensive Care Unit), prolungamento delle degenze e moltiplicazione delle spese ospedaliere rispetto a nati a termine concepiti normalmente e relative cure di nursery”.
- Degli studi suggeriscono che le donne gravide con ovuli di donatrici, molto comuni nel caso di gravidanze surrogate (definizione di surrogazione gestazionale), hanno un rischio triplo di sviluppare ipertensione e pre-eclampsia da gestazione.
- È stato documentato che l’uso di Lupron per preparare una madre surrogata a ricevere il trasferimento di embrioni mette la donna a rischio di aumentata pressione endocranica.
La madre surrogata deve attenersi scrupolosamente alle clausole contrattuali che stabiliscono quante visite fare, che musica ascoltare, cosa mangiare, a che ora andare a dormire etc.
Trattandosi nella stragrande maggioranza di donne indigenti quando non addirittura del terzo mondo, la madre surrogata prende pochi soldi per la locazione del suo corpo: 10 o 15 mila euro bastano per 9 mesi di affitto.
Poi arriva il parto e la fine del contratto dell’utero in affitto
In alcuni casi di mala sanità le madri surrogate vengono sedate, perché le loro lacrime non disturbino la coppia dei ricchi acquirenti, intenti a farsi i selfie col neonato nella stanza accanto.
Molte madri surrogate ripetono più volte il servizio, spinte dall’indigenza, e qualcuna a furia di farmaci immunosoppressivi ci lascia anche la pelle, come Brook Lee Brown, morta in Idaho nel 2016 dopo 5 gravidanze surrogate.
Quando c’è sfruttamento, rimane un vuoto in queste donne.
Lo scenario che abbiamo di fronte non è tra i migliori.
Nel nostro paese è proibito, è un grave reato punito col carcere.
Questo non basta!l. Non basta vietare la pratica perché così facendo si sposta il problema solo da un altra parte.
Ecco perché molte coppie benestanti vanno a farlo in Ucraina, o in Canada, o negli Stati Uniti.
La legge Italiana sul utero in affitto
La pratica dell’utero in affitto è vietata in Italia dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita che punisce chi «realizza, organizza o pubblicizza» ogni forma di maternità surrogata in cui la gestazione avviene per conto d’altri.
Queste condotte costituiscono reato, punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila a 1 milione di euro.
La Corte Costituzionale ha sottolineato questo «elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale».
Il divieto normativo viene però aggirato da chi commissiona il bambino all’estero, specialmente nei Paesi poveri e svantaggiati dove molte donne sono disponibili a concepire e portare avanti una gravidanza sapendo che il bambino verrà loro sottratto subito dopo il parto. Spesso, accade che il figlio venga riconosciuto dai genitori non naturali nello Stato estero e iscritto nella relativa anagrafe; successivamente, sulla base dei dati riportati nel certificato di nascita, si tenta di ottenere la sua iscrizione nell’anagrafe italiana.
Anche qui però c’è una sanzione penale, prevista dalla legge sulle adozioni che punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque, in violazione della rigorosa normativa sulle adozioni in Italia, «affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, senza ulteriori condizioni ai fini della integrazione del reato».
La Corte di Cassazione ha specificato che «solo per chi riceve il minore in illecito affidamento, con il carattere della definitività e quindi della tendenziale stabilità, la norma richiede ai fini della integrazione del reato che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo economico o di altra utilità, non essendo tale elemento, invece, necessario per l’integrazione del delitto previsto per colui che ceda il minore o comunque si ingerisca nella sua consegna, essendo previsto anche un aggravamento della pena nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore».
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