27 Aprile 2024
INSIDIE DEL LAVORO DELL'OSS

Cropped shot of an unrecognizable female nurse comforting a patient in the hospital

insidie del lavoro dell'Oss

Il lavoro dell’Oss, pur gratificante, può presentare delle insidie.
La professione Oss nasce dall’esigenza di fornire assistenza primaria alla persona.
E’ una figura molto ricercata in campo ospedaliero, e non solo, che lavora in equipe assieme all’infermiere e al medico per garantire al paziente tutte le cure necessarie.

insidie del lavoro dell'OSS

L’operatore socio sanitario è la figura più vicina al paziente, e proprio in questo aspetto si nasconde una delle più celate insidie. Vi starete chiedendo per quale motivo una figura vicina al paziente potrebbe vivere delle situazioni poco piacevoli.

insidie del lavoro dell'OSS

Si, perché essendo quella dell’Oss una professione d’aiuto alle persone che soffrono, a lungo andare potrebbe svilupparsi nell’Oss il rischio dell’esaurimento emotivo: il cosiddetto ” burnout”

Insidie del lavoro dell’OSS : Prima insidia: il Burnout

Il burnout è una malattia professionale da stress lavoro correlato, riconosciuta dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS)come sindrome occupazionale.
E’ stata inserita nella nuova Classificazione ICD, ovvero nella Classificazione Internazionale delle Malattie e dei problemi correlati.

Il benessere dell’operatore socio sanitario è un pre-requisito essenziale per svolgere la prestazione lavorativa di supporto che dovrebbe garantire l’assistenza degli utenti. Quindi un operatore socio sanitario in burnout non può garantire la giusta assistenza.

Cos’è il burnout?

Il termine inglese Burnout significa “bruciato fuori” ed esprime con un’efficace metafora il bruciarsi dell’operatore e il suo cedimento mentale e fisico.

LE 4 FASI DELLA SINDROME DEL BURNOUT NELL’OSS

La prima fase: Entusiasmo idealistico è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale; tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato.

La seconda fase: Stagnazione. L’OSS continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa gradualmente da un elevato impegno ad una consumazione totale recessiva dove il sentimento di profonda delusione determina una chiusura verso l’ambiente di lavoro.

La terza fase: Frustrazione. La più critica. Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità. Il soggetto può assumere atteggiamenti aggressivi e spesso mette in atto comportamenti di fuga.

Nella quarta fase si assiste al crollo emotivo riguardante la propria professione.

L’operatore socio sanitario è una figura che rispecchia una professionalità che con grande rispetto per i pazienti, con empatia, giorno per giorno l’Oss coltiva per dare un servizio ai disabili e alle persone che stanno male.

Una figura che in campo lavorativo deve avere una grande empatia, per permettergli di entrare in sintonia con i suoi assistiti.


Un’altra insidia che potrebbe colpire l’Oss è quella di voler salvare tutti i pazienti, cioè pensare di poter risolvere tutte le situazioni difficili che questi presentano. Anche quando non si può far nulla.

Seconda insidia: il voler salvare tutti

Il compito dell’oss, non è salvare le persone, soprattutto quando la situazione non dipende dall’operatore.

Questo atteggiamento “da salvatore” non porta a nulla di buono, poiché non permette di considerare in modo obiettivo tutti gli aspetti dell’assistenza primaria alla persona.

L’Oss si deve sempre ricordare che non sempre potrà raggiungere il massimo dei risultati e risolvere le situazione che si presentano.

Un’altra insidia che un Oss potrebbe incontrare nel corso del suo lavoro è il paziente psichiatrico.

Terza insidia: il paziente psichiatrico

Per un operatore socio-sanitario che lavori nelle strutture in cui sono presenti persone con disagio psichico il percorso non è sempre così lineare. Il suo lavoro è spesso indefinito, le competenze tecniche apprese non sempre sono sufficienti, gli strumenti relazionali da usare ed i luoghi dove usarli sono diversi e molteplici.
Ma la differenza sostanziale risiede nella integrità della persona: chi soffre di un disturbo mentale è una persona annientata dalla sua stessa sofferenza, ammalato in una parte di sé che è intangibile, perde la sua capacità di chiedere aiuto e spesso anche di accettarlo.

insidie del lavoro dell'OSS
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Parlare di disagio psichico appare tuttavia riduttivo, dal momento che sotto il nome di disagio psichico transita una gran quantità di etichette nosografiche, spesso in comorbilità tra loro (che si presentano cioè insieme nella stessa persona), e che presentano criteri diagnostici, una sintomatologia e un trattamento profondamente diversi.

In ogni caso, l’operatore che presti il proprio servizio in altri ambiti è abituato ad assistere pazienti che generalmente si fanno accudire volentieri, si fanno lavare, toccare, sono riconoscenti a chi con attenzione e cortesia si occupa di loro e dei loro bisogni. Sono grati a chiunque si avvicini loro con una parola di conforto, per ascoltarli, per sostenerli in quegli attimi di vulnerabilità tipici dello stato di malattia.

Nel caso del paziente psichiatrico, egli può rifiutare la vicinanza degli operatori che desiderano aiutarlo, può rifiutare il supporto farmacologico, può rifiutare di lavarsi ed accudirsi o di lasciarlo fare a chi lo farebbe per lui.

Di fronte al paziente che rifiuta tutto, può insultare, può aggredire, non vuol farsi toccare; l’operatore può perdere le proprie sicurezze, può pensare di aver perso la capacità di svolgere il proprio lavoro, avverte imbarazzo nel dover chiedere ai colleghi o agli altri sanitari.

Le difficoltà nel saper gestire la relazione operatore-paziente può essere ulteriore fonte di frustrazione, ansia, rabbia, impulsività; si rischia così di assumere atteggiamenti che non permettono più di percepire i reali bisogni del paziente.
E il tempo dei normali reparti, scandito dalle numerose cose da fare, contribuisce a determinare e mantenere le distanze.
Si corre così il rischio di cadere, a maggior ragione a contatto con la malattia psichica, nelle insidie della tanto temuta sindrome da burn-out , una condizione di esaurimento psicofisico che a lungo andare non permette più all’operatore di rintracciare nel proprio lavoro le caratteristiche, le motivazioni, le ragioni per cui si è scelto.

E’ per tale motivo che l’operatore deve innanzitutto mantenere il più possibile salda la propria stabilità emotiva: lavorare con pazienti con disagio psichico richiede infatti, oltre che una buona capacità relazionale, anche una buona capacità di contenimento emozionale, competenza che non si improvvisa ma che si costruisce gradualmente sviluppando una propria capacità di introspezione, di guardarsi dentro e di essere a contatto con se stessi e con le proprie emozioni.

L’operatore che si troverà ad agire in interventi e servizi nei confronti di persone con disagio psichico dovrà sapersi mettere in sintonia con l’altro, per riuscire a comprenderne il punto di vista e saper entrare con lui in una relazione d’aiuto significativa.

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