La società attuale impone stili di vita sempre più pressanti, che richiedono un coinvolgimento psicofisico in grado di soddisfare con rapidità ed efficienza gli obiettivi stabiliti nella vita privata e professionale, cambiando i ritmi che diventano più incalzanti e faticosi da gestire per i malati di Parkinson .
Un contesto così frenetico può risultare un ulteriore ostacolo da superare per chi ha problemi di salute, la malattia in generale rappresenta un evento difficile da accettare che coinvolge non solo il malato ma anche la famiglia.
Questi aspetti necessitano di tenacia coraggio e perseveranza, ben noti ai malati di Parkinson ed ai loro familiari, che si trovano a convivere ed a condividere una malattia non facile da accettare.
Il Parkinson richiede una capacità di adattamento continua a causa dei cambiamenti di tipo motorio che progressivamente e lentamente portano alla perdita di gestione e controllo del proprio corpo, per questo in alcuni casi il malato può cadere in uno stato di prostrazione e chiusura relazionale. Il coinvolgimento familiare quindi, diventa importante per una condivisione e un supporto morale, così come il controllo dal medico che se tempestivo, è possibile ritardarne la progressione.
Questa malattia di carattere neurodegenerativo, maggiormente diffusa dopo l’Alzheimer che sembra colpire maggiormente gli uomini, intacca parte del sistema nervoso centrale deputato al controllo dei movimenti, compromettendo le capacità motorie in modo cronico e progressivo.
I sintomi, possono variare da persona a persona e differenziarsi a seconda dei diversi stati della malattia che insorge verso i 50 anni raggiungendo il picco massimo intorno ai 70 anni (tremori a riposo e raramente del collo e della testa, rigidità e lentezza dei movimenti, disturbo del cammino, postura curva, disturbi di equilibrio). Purtroppo sempre più spesso si registrano casi nei giovani, intorno ai 40 anni, sfatando il pensiero che considerava il parkinson solo una malattia dell’anziano.
Sebbene le cause non siano ancora del tutto chiare, sono state avanzate delle ipotesi sulla sua origine che potrebbe essere multifattoriale in cui interagiscono componenti genetiche e ambientali quali: l’ereditarietà, traumi alla testa, esposizione a sostanze tossiche ambientali.
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) il Parkinson colpisce in Italia circa duecentoventimila persone, mentre in Europa i malati sono lo 0,5% della popolazione. Le cure disponibili oggi sono di aiuto nel controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo.
Che cos’è la malattia di Parkinson?
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio.
La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento” e tra queste è la più frequente.
I sintomi del Parkinson sono forse noti da migliaia di anni: una prima descrizione sarebbe stata trovata in uno scritto di medicina indiana risalente al 5.000 A.C. ed un’altra in un documento cinese risalente a 2.500 anni fa. Il nome è legato però a James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, che per primo descrisse gran parte dei sintomi della malattia in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”. Di Parkinson, deceduto nel 1824, non esistono né ritratti né ovviamente fotografie.
La malattia è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici. Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Prima dei 20 anni è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 3-5% quando l’età è superiore agli 85.
Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson
Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello, note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti (ma non solo).
La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente.
I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, in un’area chiamata Sostanza Nera (la perdita cellulare è di oltre il 60% all’esordio dei sintomi).
Dal midollo al cervello cominciano a comparire anche accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina. Forse è proprio questa proteina che diffonde la malattia in tutto il cervello.
La durata della fase preclinica (periodo di tempo che intercorre tra l’inizio della degenerazione neuronale e l’esordio dei sintomi motori) non è nota, ma alcuni studi la datano intorno a 5 anni.
Quali sono le cause della malattia di Parkinson?
Le cause non sono ancora note. Sembra che vi siano molteplici elementi che concorrono al suo sviluppo. Questi fattori sono principalmente:
Genetici: alcune mutazioni note sono associate alla malattia di Parkinson. Tra i geni individuati quelli più importanti sono: alfa-sinucleina (PARK 1/PARK 4), parkina (PARK-2), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK-7), LRRK2 (PARK-8) e la glucocerebrosidasi GBA.
Circa il 20% dei pazienti presenta una storia familiare positiva per la malattia. Si stima che i familiari di persone affette da malattia di Parkinson presentino, rispetto alla popolazione generale, un rischio di sviluppare la patologia lievemente superiore.
Fattori tossici, esposizione lavorativa: il rischio di malattia aumenta con l’esposizione a tossine quali alcuni pesticidi (per esempio il Paraquat) o idrocarburi-solventi (per esempio la trielina) e in alcune professioni (come quella di saldatore) che espongono i lavoratori a metalli pesanti (ferro, zinco, rame).
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, cosa si intende con questo termine?
Neurodegenerazione è una vecchia parola che fa riferimento essenzialmente al carattere progressivo di una malattia del sistema nervoso. Spesso il termine implica la mancanza di una causa scatenante acuta, e la nozione di un processo inarrestabile.
Neurodegenerazione equivale, nella accezione comune, ad una sorta di invecchiamento precoce, e veloce nell’andamento. Per esempio, sintomi o segni simili a quelli del MP possono essere, almeno in parte, indotti da lesioni ischemiche di alcune aree specifiche del cervello. In questo caso i disturbi esordiscono in modo acuto, e possono rimanere stabili o regredire nel tempo. In questo caso chiaramente non si usa la parola neurodegenerazione. Ma questo termine mostra i suoi anni. Spesso il confine tra disturbo neurodegenerativo e non-neurodegenerativo è sfumato. Sappiamo ormai, per rimanere nell’esempio delle malattie cerebrovascolari, che un insulto ischemico acuto può mettere in atto meccanismi protrati nel tempo, tali da sottendere un processo di maturazione del danno che molti definiscono di tipo ”neurodegenerativo”. Allo stesso tempo lo sviluppo delle conoscenze neurobiologiche apre spiragli su interventi potenzialmente efficaci nell’interrompere un processo considerato inarrestabile.
Linea guida
La nuova “Linea guida sulla diagnosi e terapia della malattia di Parkinson” è stata presentata all’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta sia di un aggiornamento della versione pubblicata nel 2010 dallo Scottish intercollegiate guidelines network (Sign) per la diagnosi e i trattamenti farmacologici, sia della valutazione, per la prima volta, in una visione di sanità pubblica, delle questioni inerenti l’opportunità di un trattamento riabilitativo, chirurgico e di una terapia a base di cellule staminali.
La Linea guida è inserita nell’ambito del Sistema nazionale linee guida ed è il frutto del lavoro di collaborazione tra l’Iss e la Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze (Limpe), e di altre 13 società scientifiche (mediche e di altri professionisti sanitari) e delle due associazioni di familiari e pazienti. Questa linea guida costituisce il primo innovativo documento con una serie di raccomandazioni rivolte agli operatori sanitari impegnati nella gestione del paziente affetto da Parkinson.
“Abbiamo tracciato, per la prima volta, un possibile percorso diagnostico assistenziale del paziente affetto dalla malattia di Parkinson– afferma Nicola Vanacore, neuroepidemiologo dell’Iss – offrendo così un primo tassello per lo sviluppo, nel nostro Paese, di un sistema integrato nella gestione di questa patologia, che chiama in causa, nelle sue diverse fasi, numerosi professionisti: dal neurologo al medico di medicina generale, dal geriatra al fisiatra, dal neurofisiologo al neurochirurgo, dallo psichiatra all’ortopedico e molti altri”.
I trattamenti neurochirurgici
La malattia di Parkinson conduce ad una progressiva disabilità motoria con relativa perdita di indipendenza, isolamento sociale, rischio di cadute e traumi. C’è poi tutto un corredo di sintomi non motori: compromissione di alcune funzioni cognitive, dell’attenzione, del linguaggio. Le tecniche riabilitative prescritte (fisioterapiche, logopediche e occupazionali) necessitano tuttavia di essere sottoposte ad una procedura di standardizzazione e valutazione in modo da favorirne la trasferibilità dal mondo della ricerca alla pratica clinica corrente.
In pazienti gravemente compromessi dal punto di vista motorio e che non rispondono ai trattamenti farmacologici, è possibile ricorrere a trattamenti chirurgici di due tipi, gli interventi di lesione e quelli di stimolazione cerebrale profonda. Entrambi prevedono l’inserimento di un elettrodo in determinate aree cerebrali che nel primo caso va a cauterizzare le cellule target per poi essere rimosso, mentre nella stimolazione cerebrale profonda il pacemaker cerebrale viene posizionato in una specifica area del cervello e qui lasciato allo scopo di emettere costantemente un impulso elettrico. Non mancano tuttavia le criticità connesse a tale operazione, dalla scelta del target di stimolazione alle possibili complicanze intra e post operatorie.
Le cellule staminali
Vi sono alcune tecniche, in via di sperimentazione, che prevedono l’impianto di staminali in determinate aree cerebrali. I tipi di trapianto più studiati sono il trapianto autologo di staminali mesenchimali adulte di derivazione midollare e l’impianto di tessuto mesencefalico embrionale. Attualmente è in corso di sperimentazione anche l’infusione di “glial cell line-derived neurotrophic factor”, un potente fattore neutrofico che promuove la sopravvivenza e la differenziazione dei neuroni del mesencefalo e dei motoneuroni.
Va però sottolineato che, ad oggi, non esiste alcun trattamento a base di staminali raccomandato per i pazienti con malattia di Parkinson. Questi trattamenti necessitano di essere scientificamente validati in sperimentazioni cliniche controllate e condotte in strutture riconosciute e secondo le regole in vigore a garanzia dei pazienti. I dati scientifici prodotti devono poi essere condivisi e pubblicati su riviste peer-reviewed prima del passaggio al letto del paziente.
La malattia di Parkinson
Nel nostro Paese sono 230 mila le persone affette dal Parkinson, in maggioranza uomini (sei su dieci), una cifra purtroppo destinata a raddoppiare entro il 2030 a causa dell’invecchiamento della popolazione. Il 70% di tutti i malati di Parkinson ha più di 65 anni, mentre nel 5% dei casi la malattia insorge prima dei 50 anni.
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