6 Ottobre 2024

NO MOBBING

MOBBING

Definizione di Mobbing

Dal punto di vista etimologico, il termine “mobbing” lo si può far risalire a:

  1. termine latino “mobile vulgus”, plebaglia tumultuante;
  2. all’inglese “to mob”: aggredire, accerchiare, assalire in massa. Tale termine è stato usato, agli inizi degli anni 70 dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere il comportamento di alcuni animali che si coalizzano contro un membro del gruppo, lo attaccano, lo isolano, lo escludono dal gruppo, lo malmenano fino a portarlo anche alla morte.

Pubblicazione scientifica sul mobbing

Heinz Leymann, nel 1984, con la prima pubblicazione scientifica sull’argomento, introduce l’uso del termine MOBBING per indicare la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro.
Leymann inizia ad utilizzare la parola MOBBING, per indicare quella forma di “comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa”.

Mobbing in Italia

In Italia si inizia a parlare di mobbing sul lavoro solo negli anni ‘90 grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege, che raffigura il fenomeno come “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori” attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno 6 mesi. Ripetitività e durata sono dunque le 2 condizioni che devono essere presenti perché si possa affermare di trovarsi in presenza di mobbing sul lavoro.
In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che, progressivamente, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico.

MOBBING: cosa non è.

Non è una singola azione contro un lavoratore di tipo occasionale, non è un conflitto diffuso (organizzazione di lavoro sostenuto, sovraccarico lavoro per tutti i lavoratori dell’azienda, tensione diffusa per cambiamenti radicali, privatizzazione dell’ente, fusione, ecc.);
Non è una malattia, nè una patologia, nè un problema dell’individuo, ma una situazione, un problema dell’ambiente di lavoro, non è depressione, né ansia, né gastrite, né insonnia, né stress, ecc. ma è la spiegazione di questi disturbi;
Non è un problema familiare, scolastico, ecc.; è un fenomeno proprio e tipico dell’ambiente di lavoro;
Non è una molestia sessuale anche si in alcuni casi i due comportamenti si possono sovrapporre: il mobber può decidere di infastidire la sua vittima tentando di aggredirla a fatti o a parole (l’azione viene posta in essere non allo scopo di ottenere una prestazione sessuale bensì per umiliare, allontanare o creare danni) oppure in caso di approccio sessuale, se rifiutato, il molestatore si può trasformare in mobber allo scopo di punire la sua vittima del rifiuto.

Mobbing: che cosa è.

Il mobbing è una strategia, un attacco ripetuto e continuato, secondo alcuni, almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi, diretto contro una persona o un gruppo di persone da parte del datore di lavoro, superiori o pari grado che agiscono con finalità persecutorie.

Sono state date varie definizioni:

“Violenza psicofisica e molestia morale sul luogo di lavoro … allo scopo di ledere la salute, la professionalità, la dignità della persona del lavoratore … si esegue con svariate modalità, aggressive e vessatorie, verbali e non verbali, tese all’emarginazione ed all’isolamento, alla squalifica professionale ed umana, al demansionamento, allo svuotamento delle mansioni e/o perdita del ruolo, con l’intento finale di bloccare la carriera e/o di eliminare la persona con conseguenze dannose sulla salute, sull’attività professionale, sulla vita privata e sociale, nonché un danno economico alla società ….”.
“… per mobbing si intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti,pubblici o privati, da parte del datore di lavoro o da superiori ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica e di violenza morale.”
Gli atti e i comportamenti possono consistere in:

  • pressioni o molestie psicologiche;
  • calunnie sistematiche;
  • maltrattamenti verbali ed offese personali;
  • minacce od atteggiamenti tendenti ad intimorire od avvilire, anche in forma indiretta;
  • critiche immotivate ed atteggiamenti ostili;
  • delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’organizzazione;
  • svuotamento delle mansioni;
  • attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque atti a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore;
  • attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;
  • impedimento sistematico ed immotivato a notizie ed informazioni utili all’attività lavorativa;
  • marginalizzazione rispetto ad iniziative formative di riqualificazione e di aggiornamento professionale;
  • esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;
  • atti vessatori indirizzati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.

mobbing

IL CAPRO ESPIATORIO

In senso figurato, un “capro espiatorio” è qualcuno a cui è attribuita tutta la responsabilità di malefatte, errori o eventi negativi e deve subirne le conseguenze. La ricerca del capro espiatorio è l’atto di voler identificare irragionevolmente in una persona, un gruppo di persone, o una cosa la causa responsabile di gravi problemi, spesso con il celato obiettivo di nascondere le vere cause o i veri colpevoli.

La ricerca del capro espiatorio

Il processo può instaurarsi tra due persone (es. un impiegato e il suo subalterno), tra i membri di una stessa famiglia (es. un bambino preso come capro espiatorio), tra i membri di un’organizzazione (es. i responsabili di un’impresa) o all’interno di ogni altro gruppo costituito. Oltre a tale aspetto intergruppo, il fenomeno può ugualmente essere extragruppo e osservarsi tra gruppi differenti.

Vi sono diversi criteri che guidano la selezione di una persona o di un gruppo particolare come capro espiatorio, quali la differenza percepita della vittima, l’antipatia che essa suscita o il grado di potere sociale che possiede. Secondo i casi e le motivazioni degli aggressori, le conseguenze per la vittima e le reazioni potenziali dei protagonisti possono variare. Inoltre, le possibilità di intervento contro il fenomeno sono molteplici, potendo aver luogo talvolta a livello individuale, di gruppo o procedurale.

I gruppi sociali utilizzati come capro espiatorio

La ricerca del capro espiatorio è particolarmente devastante in politica perché solitamente la colpa è attribuita a un gruppo di minoranza, che trova difficile difendersi dalle accuse. Una tattica spesso impiegata è quella di caratterizzare un intero gruppo di individui per la condotta non etica o immorale di un piccolo numero di appartenenti a tale gruppo. Tra i soggetti usati come capri espiatori nel corso della storia troviamo ad esempio le persone di colore, gli immigranti, i comunisti, i meridionali, le streghe, le donne, i catari, i cattolici, gli Ebrei, i matti, ilebbrosi, gli omosessuali, i drogati, gli spacciatori, i disabili, gli zingari, gli anarchici.

La ricerca del capro espiatorio è un importante strumento della propaganda: ad esempio, gli Ebrei vennero individuati dalla propaganda nazista come fonte del collasso politico e dei problemi economici della Germania.

La ricerca del capro espiatorio si applica anche alle organizzazioni. Ad esempio, grandi imprese o governi vengono visti da alcuni come responsabili di un numero esagerato di problemi sociali.

Nelle società industrializzate, l’uso dei tradizionali gruppi di minoranza come capri espiatori viene sempre più malvisto. Questa reazione può produrre delle regole sociali riguardanti il linguaggio, come nel caso del politicamente corretto. Il principio dell’agire politicamente corretto potrebbe essere un fattore determinante nello sviluppo di tali credenze riguardanti le grandi imprese, in particolare dove un senso di tolleranza altamente sviluppato nei confronti delle minoranze tradizionali si scontra con il bisogno continuo (e spesso ingiustificato) di dare la colpa a qualcuno.

È però importante ricordare che il capro espiatorio di biblica memoria era una vittima innocente. Nell’uso comune capita che molti colpevoli, una volta raggiunti dalla giustizia, o comunque dopo che sia stata acclarata la loro colpa, applichino a se stessi tale termine, con ciò significando di pagare da soli, al posto di tanti altri rei. Ma l’uso del termine da parte loro è e rimane assolutamente improprio.

Conseguenze del processo del capro espiatorio. Impatti psicologici

I capri espiatori sono fonte di tensioni psichiche. Nelle famiglie, il fatto che il processo sia funzionale al fine di permettere una certa stabilità familiare, significa che il fenomeno può persistere a lungo ai danni del capro espiatorio (in genere, un minore). In effetti, Belle Vogel mettono in evidenza che i bambini scelti come capri espiatori sono la fonte di tensioni psichiche molto forti. Secondo gli autori, gli «aggressori» si rendono istintivamente conto che il fatto di diventare capro espiatorio handicapperà la vittima e che è dunque necessario scegliere un individuo il cui contributo alla famiglia è debole e/o di cui sarà possibile per un altro membro della famiglia prenderne in carico le esigenze. Per altro, il fenomeno è a doppio taglio e gli «aggressori» provano generalmente molta colpevolezza, soprattutto in ragione della loro attitudine ambivalente riguardo alla vittima: provano rimorso e, al tempo stesso, collera verso il suo comportamento che ne viene rafforzata dai suoi incoraggiamenti impliciti.

Inoltre, quando il capro espiatorio è liberamente scelto per deviare la responsabilità di certi membri di un gruppo o per conservare l’immagine dell’organizzazione, la vittima fa fronte a delle conseguenze più o meno importanti (es., perdita del lavoro, caduta in disgrazia). In certi casi, in seguito a delle persecuzioni ripetute, certi capri espiatori giungono a pensare che sia inevitabile per loro assumere tale ruolo, che farà parte integrante della loro esistenza. Si aspettano di essere presi di mira come capri espiatori, o che essi si espongano a dei processi quali la profezia autorealizzatrice.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.